"Vado in montagna a respirare aria fresca".
Un pensiero comune, anche una certezza.
E invece no, l'illusione è finita. Assediati dal benzene in città,
impiastricciati di petrolio al mare e perseguitati dall'insalata di plastica, ora tocca alle alte vette intoccate dall’inquinamento persecoli.
Dopo che uno studio dell'Unione europea ha scoperto che i laghetti azzurri della Alpi, quelle oasi cristalline sopra i 2500 metri, sono più inquinati dell'idroscalo di Milano.
Essi contengono 1000 volte più Ddt ( para-diclorodifeniltricloroetano )dei laghi al livello del mare.
Cosa è successo? Come mai le alpi agiscono come delle calamite nei confronti delle sostanze inquinanti presenti nell'atmosfera?
Il meccanismo, spiegano gli scienziati, è semplice: le permanenti temperature sotto lo zero a livello delle cime alpine fanno "concentrare" il Ddt evaporato sopra l'India e l'Africa (che ancora fanno uso del vecchio antiparassitario bandito in Occidente 15 anni fa) che infine precipita sulle montagne per un fenomeno chiamato "distillazione globale" ( è un fenomeno atmosferico che intrappola l’inquinamento in ogni stato atmosferico dell’acqua ).
Il Ddt circola intorno alla Terra dove c'è caldo, ma resta intrappolato dove fa freddo.
Sapevamo che questo succedeva ai poli, ma finora nessuno sospettava che lo stesso fenomeno avvenisse sulle Alpi o sui Pirenei".
E dal Monte Bianco fino alla Marmolada, da Saint Moritz fino al Tarvisio, sopra i 2500 metri c'è neve e ghiaccio 8-9 mesi su 12.
A conferma del problema anche il fatto che, nonostante la grande distanza dalle zone agricole o industriali, i pesci dei laghi alpini presentano gli stessi sintomi da accumulo di sostanze inquinanti chiamate Pop (persistent organic pollutants) dei pesci di pianura.
Una contaminazione sotto i livelli considerati pericolosi per l'uomo.
L'indagine dei ricercatori austriaci si è concentrata su tre laghetti sopra i 2500 metri vicino a Innsbruck ( ghiacciati tre quarti dell'anno ).
In origine non c'erano pesci, a introdurre le trote sarebbe stato l'imperatore Massimiliano I qualche secolo fa.
Oggi le acque turchine nascondono il pericoloso Ddt, che entra nelle catene alimentari per accumulo di grassi. Lo trovarono perfino nei pinguini e nelle foche.
Altra sfortuna: le Alpi non possono sfruttare nemmeno "l'effetto cavalletta".
Le sostanze inquinanti infatti passano facilmente dallo stato solido a quello liquido e gassoso anche con piccole variazioni di temperatura. Così le nuvole contaminate passano su una zona fredda, i Pop cadono a terra, la temperatura magari si rialza di qualche grado e queste rievaporano e si spostano fino a trovare un'altra zona fredda. Su e giù, insomma. Un meccanismo che le costanti basse temperature delle vette alpine non permettono. Di conseguenza il Ddt resta fermo nelle acque del Gossenkoelle See e degli altri laghi studiati.
Una conclusione potrebbe essere bandire Ddt e sostanze simili dalle multinazionali. Ma non è così facile: molti scienziati avvertono che un divieto immediato provocherebbe carestie e malattie nei Paesi poveri.
In realtà, suggerisce Psenner, c'è un'alternativa: "Non può essere una colpa quella di cercare di proteggere il proprio ecosistema. Ma lo è non riuscire ad offrire al Terzo Mondo, dopo 50 anni, qualcosa di meglio del Ddt".
IL DDT
Il para-diclorodifeniltricloroetano o DDT è un solido incolore, non solubile nell’acqua, ma ha una buona solubilità nella maggior parte dei solventi organici, nel grasso e negli oli.
Fu il primo insetticida moderno ed è senz'altro il più conosciuto; venne usato dal 1939, soprattutto per debellare la malaria.In Italia si fu usato a questo scopo in Sardegna, dove la malattia era costante e, il Ddt ne consentì l'eradicazione.
La sua scoperta come insetticida va attribuita al chimico svizzero Paul Hermann Müller, alla ricerca di un prodotto efficace contro i pidocchi, ma la sua scoperta è attribuita
al chimico austriaco Othmar Zeidler, che lo sintetizzò nel 1873.
Fu scelto come prodotto per combattere la zanzara anofele ( una razza di zanzare ), responsabile della diffusione della malaria, in quanto si credeva che, sebbene altamente tossico per gli insetti, fosse innocuo per l'uomo. Inizialmente fu usato con successo per combattere la diffusione della malaria e del tifo ( una specie di febbre ) su popolazione sia civile sia militare.
Il chimico svizzero Paul Hermann Müller fu premiato nel 1948 con il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina «...per la scoperta della grande efficacia del DDT come veleno da contatto contro molti artropodi».
LE POLVERI SOTTILI
Per prima cosa diciamo che quando si parla di polveri sottili, è che ci si riferisce a particelle che possono essere in forma solida o liquida, originate dalla natura o dall’uomo. Lo spray marino, le ceneri dei vulcaniche, la sabbia dei deserti sono particelle che si creano spontaneamente in natura. Esse vengono trasportate dai venti e le troviamo depositate sui parabrezza delle auto in città, e persino in montagna, sulle Alpi come in Himalaya, dove danno una colorazione scura, bruna o rossa alla neve e ai ghiacci.
Ie polveri generate dalle attività umane invece, derivano dal traffico urbano o non urbano, dai processi industriali e dal riscaldamento; oppure dalla combustione di biomasse ( un insieme di organismi vegetali ) come accade in particolare nei paesi in via di sviluppo, dove riscaldamento e cucina si basano sul calore emanato dalla legna da ardere.
Le particelle di carbone, immesse prima che nell’aria nelle stanze in cui le persone cucinano o riscaldano il loro habitat, magari da bracieri aperti, senza camini, producono danni alla salute umana molto gravi, tra cui la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva e altre malattie cardiovascolari.
Oltre all'ozono "buono", quello che ci protegge ai raggi ultravioletti, minacciato dal "buco", c'è anche l'ozono "cattivo": un inquinante causato dal traffico urbano e dalle industrie. Sulla salute umana, esso irrita le vie respiratorie e le mucose, accenna l'asma e le malattie polmonari, e ciò si accanisce su anziani e bambini, per via del basso sistema immunitario, fumatori e persone che praticano intensa attività fisica.
Sui beni culturali le conseguenze sono spesso sottovalutate, ma arrivano a procurare danni irreversibili attaccando la struttura dei materiali come pietra e marmo.
Ma a subire i danni maggiori è la vegetazione. Colpendo specie di particolare interesse alimentare, l'ozono incide anche sulla resa agricola di un territorio, quello montano, già particolarmente difficile.
Ebbene sì, l'ozono cattivo è presente in montagna in misura doppia rispetto alle città, perché privilegia ambienti ad alta insolazione e meno inquinati da altre sostanze. Legambiente e Club Alpino Italiano hanno effettuato un monitoraggio, posizionando per una settimana 40 campionatori all'esterno di 20 rifugi del CAI, situati tra i 2000 e i 2500 metri. In un solo rifugio, quello di Corno di Renon (BZ), con 92,1 µg/m3, sono stati registrati valori medi inferiori alla soglia di legge europea, fissata in 120 µg/m3. ll valore massimo è invece quello registrato al rifugio lombardo Brioschi, in vetta alla Grigna settentrionale, dove è stata raggiunta una media di 196,6 µg/m3. In generale, se la concentrazione media in pianura in ambiente urbano è di 84 µg/m3, salendo ad alta quota raddoppia, arrivando a 157 µg/m3. Valori molto alti si misurano sulle Prealpi e in prossimità di valli percorse da grandi autostrade, come in Val d'Aosta e in Alto Adige, svelando una montagna vittima delle città di pianura.
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